Il Fantasma Gentiluomo di Villa Brivido

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C’era una volta una piccola città chiamata Vallezucca, famosa per due cose: le sue enormi zucche arancioni e le sue feste di Halloween.

Quell’anno, la sera del 31 ottobre, l’aria era fresca e sapeva di foglie secche e zucchero filato. Le strade erano piene di piccoli mostri, streghette, supereroi e fantasmi. Tra loro c’erano Alvin e la sua migliore amica, Sara.

Alvin era vestito da vampiro, con un mantello nero che continuava a inciampargli sui piedi e un paio di denti finti di plastica che gli rendevano difficile parlare. Sara era una strega, con un grande cappello a punta che le copriva quasi tutto il viso e una scopa giocattolo che si portava ovunque.

“Dolcetto o scherzetto!” gridavano davanti a ogni porta, e le loro borse a forma di zucca diventavano sempre più pesanti.

Mentre camminavano lungo Via dei Salici, notarono che tutti i bambini si fermavano prima dell’ultima casa in fondo alla strada. Era Villa Brivido.

Villa Brivido non era come le altre case. Sorgeva su una collina, era vecchia, con le persiane di legno un po’ storte e un giardino pieno di rami secchi che sembravano dita nodose. Nessuno ci andava mai. Le luci erano sempre spente.

“Ho sentito,” sussurrò un bambino vestito da scheletro, “che lì dentro vive un fantasma.”

“Sciocchezze,” disse Sara, sistemandosi il cappello. “I fantasmi non esistono.”

“S-s-sì,” balbettò Alvin, stringendosi nel mantello. “Meglio… meglio andare dall’altra parte. Ho già un sacco di caramelle.”

Proprio in quel momento, una folata di vento freddo fece sbattere la persiana di una finestra al piano di sopra di Villa Brivido. CLACK!

Tutti i bambini fecero un salto indietro.

“Avete visto?” disse lo scheletro. “È il Fantasma Gentiluomo!”

“Il Fantasma Gentiluomo?” chiese Sara, incuriosita.

Una signora anziana che stava distribuendo cioccolatini dalla porta accanto sorrise. “Oh, sì. È la leggenda di Vallezucca. Si dice che Villa Brivido non sia infestata da un fantasma spaventoso, ma da uno molto educato. Non fa ‘BUH!’, ma si dice che appaia solo ai bambini coraggiosi e gentili, e che regali i dolci più buoni di tutta la città.”

Gli occhi di Sara si illuminarono. “I dolci più buoni? Dobbiamo andare!”

“Andare? Lì dentro?” Alvin quasi perse i denti finti. “Sara, è buio! E… e se il fantasma non è poi così ‘gentiluomo’?”

“Alvin, sei un vampiro! I vampiri non hanno paura del buio. E io sono una strega. Andremo, prenderemo i dolci leggendari e poi racconteremo a tutti la nostra avventura,” disse Sara, afferrando la mano di Alvin.

Con il cuore che batteva forte come un tamburo, Alvin si lasciò trascinare.

Il cancello di ferro di Villa Brivido cigolò con un suono lungo e lamentoso: CIIIIIIII. Il sentiero era coperto di foglie che facevano CROK-CROK sotto i loro piedi. Un gufo li guardò da un albero e fece HUU-HUUU.

“Vedi? È solo un gufo,” disse Sara, anche se la sua voce tremava un pochino.

Arrivarono davanti al portone di legno. Era enorme. Sara alzò la mano per bussare, ma il portone si aprì lentamente da solo, con un altro lungo SCRIIIIICCH.

L’interno era buio, ma non spaventoso. C’era polvere, certo, e molte ragnatele negli angoli, ma c’era anche un grande camino e vecchie poltrone comode. Sembrava solo… addormentato.

“Dolcetto o scherzetto?” sussurrò Alvin, ma la sua voce si perse nel silenzio.

“Dobbiamo cercare,” disse Sara, tirando fuori una piccola torcia dalla sua borsa.

Salirono le scale. Ogni gradino scricchiolava. CREAK… CRACK…

Al piano di sopra, c’era un lungo corridoio con molti quadri alle pareti. I ritratti sembravano seguirli con gli occhi. All’improvviso, sentirono un rumore provenire da una stanza in fondo al corridoio.

Frush… Frush… TAP!

“Cos’è stato?” chiese Alvin, nascondendosi dietro il mantello di Sara.

“Non lo so,” rispose Sara, puntando la torcia.

Si avvicinarono piano piano alla porta. Il rumore continuava. FRUSH… TAP-TAP! Sembrava qualcuno che grattasse.

Sara spinse la porta.

La stanza era una vecchia biblioteca. Libri ovunque. E vicino alla finestra, c’era… qualcosa. Qualcosa di piccolo e nero che si muoveva freneticamente.

“Un ragno gigante!” urlò quasi Alvin.

Ma quando Sara puntò la luce, videro che non era un ragno. Era un piccolo pipistrello, con un’ala impigliata in una vecchia tenda di velluto. Stava cercando di liberarsi, ma non ci riusciva.

“Oh, poverino!” disse Sara. “Si è fatto male.”

Alvin dimenticò subito la paura. Vide che il pipistrello era spaventato quanto lui. “Dobbiamo aiutarlo, Sara.”

Con molta attenzione, Alvin tenne ferma la tenda e Sara, usando le sue piccole dita, districò l’ala del pipistrello. L’animaletto li guardò con due occhietti neri e brillanti, poi, con un piccolo squittìo di ringraziamento, volò via attraverso un buco nel vetro della finestra.

“Ce l’abbiamo fatta!” disse Alvin, sentendosi improvvisamente molto coraggioso.

“Siete stati molto gentili.”

Una voce parlò alle loro spalle. Era una voce calma, gentile e un po’ polverosa.

Alvin e Sara si girarono di scatto.

Lì, in piedi in mezzo alla stanza, c’era un uomo. Ma non era un uomo vero. Era trasparente, azzurrino, e fluttuava a pochi centimetri dal pavimento. Indossava un cappello a cilindro e un elegante vestito di un tempo, con un papillon.

Era il Fantasma Gentiluomo.

Alvin e Sara rimasero a bocca aperta.

Il fantasma sorrise. Non era un sorriso spaventoso, ma un sorriso caldo. “Non abbiate paura, miei giovani amici. Mi chiamo Sir Reginald. E quello era il mio piccolo amico, Barnaby il pipistrello. Vi ringrazio per averlo aiutato.”

“L-l-lei è il fantasma?” balbettò Alvin.

“Proprio così,” disse Sir Reginald, facendo un piccolo inchino. “Mi annoio così tanto qui tutto solo. Ogni Halloween spero che qualche bambino coraggioso venga a trovarmi, ma di solito scappano tutti appena sentono il cancello cigolare.”

“Noi non siamo scappati!” disse Sara, orgogliosa. “E abbiamo aiutato Barnaby.”

“L’ho visto,” disse il fantasma. “Avete dimostrato di non essere solo coraggiosi, ma anche gentili. E come dice la leggenda, ho qualcosa per voi.”

Sir Reginald fluttuò verso un vecchio baule in un angolo della stanza. Lo aprì con un gesto della mano.

Dentro non c’erano monete d’oro o gioielli, ma qualcosa di molto, molto meglio. C’erano le caramelle più incredibili che avessero mai visto: cioccolatini a forma di pipistrello che brillavano al buio, lecca-lecca che cambiavano colore e caramelle gommose che scoppiettavano in bocca come piccoli fuochi d’artificio.

“Oh, wow!” esclamarono i due bambini.

“Servitevi pure,” disse Sir Reginald. “È il mio ‘dolcetto’ per voi.”

Alvin e Sara riempirono le loro borse fino all’orlo.

“Grazie, Sir Reginald!” disse Alvin. “Questa è la migliore notte di Halloween di sempre!”

“Tornate a trovarmi l’anno prossimo,” disse il fantasma, accompagnandoli alla porta. “E non preoccupatevi, farò oliare quel cancello.”

Mentre correvano giù per la collina, con le borse pesanti piene di dolci magici, Alvin non si sentiva più un vampiro pauroso. Si sentiva un avventuriero.

Quando raggiunsero gli altri bambini e mostrarono il loro bottino, nessuno poteva credere ai propri occhi. Alvin e Sara raccontarono la loro storia, del pipistrello Barnaby e del gentile Sir Reginald.

Quella notte, Alvin capì che Halloween non era solo travestimenti e caramelle. Era anche avventura. E capì che essere coraggiosi non significava non avere paura, ma significava essere gentili e aiutare gli altri, anche quando si ha un po’ di paura.

E da quel giorno, nessuno a Vallezucca ebbe più paura di Villa Brivido.