C’era una volta un bambino di nome Matteo che aveva un paio di scarpe rosse con i lacci blu. Le adorava proprio tanto, quelle scarpe, e le metteva sempre, anche quando la mamma diceva: “Ma Matteo, oggi piove, metti gli stivali!”
“No, mamma, voglio le mie scarpe rosse!”
E la mamma sospirava e diceva: “Va bene, Matteo, ma poi non venire a piangere se ti si bagnano i piedi”.
Una mattina Matteo si svegliò tutto allegro, saltò giù dal letto e andò a cercare le sue scarpe rosse. Le trovò sotto la sedia, proprio dove le aveva lasciate la sera prima, tutte sporche di fango perché aveva saltato nelle pozzanghere.
“Buongiorno, scarpe!” disse Matteo, come faceva sempre.
Ma stavolta le scarpe risposero: “Buongiorno un corno!”
Matteo rimase a bocca aperta. La scarpa destra aveva proprio parlato!
“Cosa hai detto?” chiese Matteo, un po’ spaventato e un po’ curioso.
“Ho detto” rispose la scarpa destra con una vocetta stizzita, “che non ne possiamo più!”
”È vero” aggiunse la scarpa sinistra. “Siamo stanche. Stanotte abbiamo parlato tra noi e abbiamo deciso: oggi facciamo sciopero!”
“Sciopero?” chiese Matteo. “Che cos’è uno sciopero?”
”È quando non si lavora” spiegò la scarpa destra, “per protesta. E noi protestiamo!”
“Ma contro cosa?” domandò Matteo, sempre più confuso.
“Contro tutto!” disse la scarpa sinistra. “Ci fai camminare nelle pozzanghere, ci fai correre sull’erba bagnata, ci fai saltare nel fango, e poi ci lasci sotto la sedia tutta la notte senza nemmeno pulirci!”
“E non ci dici mai grazie” aggiunse la scarpa destra.
“Mai un ‘grazie, scarpe, per avermi portato a scuola’. Mai un ‘grazie, scarpe, per aver corso così veloce al parco’. Niente di niente!”
Matteo si grattò la testa. Non aveva mai pensato che le scarpe potessero avere dei sentimenti.
“E quindi oggi che fate?” chiese.
“Oggi restiamo qui” dissero le scarpe in coro. “Non ci muoviamo di un centimetro!”
Matteo provò a infilarle, ma le scarpe si fecero pesantissime come due sassi enormi. Non riusciva proprio a camminare.
“Mamma!” gridò Matteo. “Le mie scarpe fanno sciopero!”
La mamma arrivò in camera e lo guardò con aria stanca. “Matteo, è presto per inventare storie. Mettiti le scarpe e vieni a fare colazione.”
“Ma è vero, mamma! Parlano e non vogliono camminare!”
La mamma scosse la testa. “Le scarpe non parlano, Matteo. E comunque se non ti sbrighi farai tardi a scuola.”
Matteo provò ancora a camminare, ma le scarpe pesavano come due elefanti. Fece appena tre passi e cadde per terra con un gran tonfo.
“Ahi! Va bene, va bene!” disse Matteo alle scarpe. “Che cosa volete?”
“Prima di tutto” disse la scarpa destra, “vogliamo essere pulite ogni sera.”
“Poi” aggiunse la scarpa sinistra, “vogliamo riposare su un cuscino morbido, non sotto una sedia polverosa.”
“E vogliamo che tu ci dica grazie almeno una volta al giorno” conclusero insieme.
“D’accordo” disse Matteo. “Vi prometto che lo farò. Ma adesso per favore portatemi a scuola, sennò la maestra si arrabbia!”
Le scarpe ci pensarono su un momento.
“Va bene” disse la scarpa destra, “ma solo perché ci hai detto ‘per favore’.”
E improvvisamente le scarpe tornarono leggere come piume. Matteo riuscì ad arrivare in cucina, mangiò la colazione veloce veloce, prese lo zaino e uscì di corsa.
Per tutta la strada verso scuola, Matteo sentiva le scarpe che chiacchieravano tra loro.
“Guarda quel gatto!” “Oh, attenzione a quella pietra!” “Rallenta un po’, che mi gira la suola!”
Quando arrivò a scuola, Matteo si sedette al suo banco vicino alla sua amica Emma.
“Ciao Matteo” disse Emma. “Come mai sei tutto rosso in faccia?”
“Ho corso” rispose Matteo. “Le mie scarpe volevano arrivare in fretta.”
“Le tue scarpe?” Emma lo guardò strano. “Matteo, le scarpe non vogliono niente, sono solo scarpe.”
In quel momento la scarpa destra di Matteo disse sottovoce: “Che maleducata, questa Emma!”
E la scarpa sinistra aggiunse: “Non sa nemmeno che oggi è martedì!”
Ma Emma non sentì niente. Solo Matteo poteva sentire le sue scarpe parlare.
Durante la lezione di matematica, la maestra spiegava i numeri. “Ora bambini, se io ho tre mele e ne mangio una, quante mele mi restano?”
“Due!” rispose la classe in coro.
“E se ne mangio un’altra?”
“Una!” risposero tutti.
Ma le scarpe di Matteo bisbigliarono: “Zero mele, ma tanta confusione nella pancia!”
Matteo si mise a ridere e la maestra lo guardò seria. “Matteo, cosa c’è di così divertente?”
“Niente, maestra, scusi” disse Matteo, cercando di non ridere.
All’intervallo, Matteo uscì in cortile a giocare a pallone. Ma quando andò per correre, le scarpe dissero: “Piano, piano! Non vogliamo graffiarci!”
“Ma devo giocare!” protestò Matteo sottovoce.
“Allora gioca piano” rispose la scarpa destra, “noi siamo ancora delicate!”
Così Matteo giocò piano piano, e tutti i suoi amici lo superavano. Roberto gli segnò anche tre gol.
“Matteo, ma che hai oggi?” gli chiese il suo amico Luca. “Sembri una lumaca!”
Matteo non sapeva cosa rispondere. Come poteva spiegare che le sue scarpe volevano andare piano?
Quando finì la scuola, Matteo tornò a casa tutto preoccupato. Cosa poteva fare? Non poteva giocare, non poteva correre, e le scarpe continuavano a lamentarsi di tutto.
“Mamma” disse quando arrivò a casa, “posso lavare le mie scarpe?”
La mamma lo guardò sorpresa. “Tu? Vuoi lavare le scarpe?”
“Sì, mamma. Gliel’ho promesso.”
“Va bene” disse la mamma, ancora più sorpresa. “Prendi uno straccio e fallo fuori, che non bagni il pavimento.”
Matteo prese un secchio d’acqua, uno straccio e del sapone, e cominciò a pulire le sue scarpe rosse. Le pulì e le strofinò con tanta cura, finché tornarono lucide e belle come nuove.
“Ecco fatto” disse Matteo. “Siete contente adesso?”
“Molto contente” dissero le scarpe. “Grazie, Matteo!”
“Prego” rispose Matteo. Poi le portò in camera sua e le mise su un cuscino morbido vicino al letto.
“Oh che bello!” disse la scarpa destra. ”È così comodo!”
“Come un letto di rose” aggiunse la scarpa sinistra.
Quella sera, prima di andare a dormire, Matteo guardò le sue scarpe e disse: “Grazie, scarpe, per avermi portato a scuola e per avermi fatto tornare a casa.”
“Grazie a te, Matteo” risposero le scarpe. “Sei stato molto gentile oggi.”
“Però domani” disse Matteo, “potreste lasciarmi correre un pochino di più? I miei amici pensano che sono diventato lento come una tartaruga.”
Le scarpe ci pensarono su.
“Va bene” disse la scarpa destra, “ma solo se prometti di stare attento alle pozzanghere.”
“E di non saltare nei cespugli spinosi” aggiunse la scarpa sinistra.
“Promesso!” disse Matteo.
Il giorno dopo, quando Matteo andò a scuola, le scarpe lo portarono veloce veloce. Corse con i suoi amici, giocò a pallone, e questa volta segnò anche due gol!
“Bravo Matteo!” gridarono i suoi amici. “Sei tornato veloce come prima!”
All’intervallo, mentre Matteo beveva l’acqua, vide che anche le scarpe di Emma, quelle viola con i fiorellini, si erano spostate da sole.
“Emma” disse Matteo, “secondo te le scarpe possono parlare?”
Emma lo guardò e sorrise. “Certo che no, Matteo. Le scarpe sono solo scarpe.”
Ma in quel momento Matteo sentì le scarpe di Emma che dicevano sottovoce: “Ma certo che non parliamo! Che idea strana!”
E le scarpe di Matteo risposero ridendo: “Sssh! Non fatevi sentire!”
Matteo sorrise. Forse era l’unico che poteva sentirle parlare, o forse no. Ma una cosa era sicura: da quel giorno, ogni sera puliva le sue scarpe con cura, le metteva sul cuscino morbido, e gli diceva sempre grazie.
E le scarpe? Le scarpe erano felici, e lo portavano ovunque volesse andare, veloce come il vento.
“Buonanotte, scarpe” diceva Matteo ogni sera.
“Buonanotte, Matteo” rispondevano le scarpe. “A domani!”
E così vissero felici e contenti, il bambino e le sue scarpe rosse con i lacci blu, che non fecero mai più sciopero, tranne quella volta che Matteo dimenticò di ringraziarle per tre giorni di fila. Ma quella è un’altra storia.